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Perché le storie funzionano, e come raccontarle

Si dice che gli esseri umani siano programmati per amare le storie.

Suona anche un po’ come uno stereotipo del linguaggio aziendale. Allora è vero? La risposta è un piacevole Sì.

Ed è facile indovinare quale parte del nostro cervello contiene le connessioni: proprio il sistema limbico.

Allo stesso modo in cui fa ronzare il nostro scanner per risonanza magnetica funzionale quando sperimentiamo un’emozione e prendiamo una decisione, mentre ascoltiamo una storia questa parte più primitiva del cervello umano si accende come un fuoco d’artificio.

È interessante notare che, quando ci viene chiesto di spiegare cosa significa una storia, il sistema limbico si calma e la corteccia prefrontale prende il sopravvento. È la differenza fondamentale tra coinvolgimento emotivo e coinvolgimento intellettuale.

Così, molto prima dell’invenzione della scrittura, uomini, donne, e bambini sedevano in cerchio nelle caverne, davanti a fuochi fumosi, affascinati, mentre il narratore della tribù creava mondi immaginari, leggende, miti e, di tanto in tanto, casi di studio sul modo migliore di abbattere un mammut con una lancia fatta con un bastone e un grumo di roccia.

La domanda è: perché? Perché siamo programmati per rispondere emotivamente alle storie?

Il pensiero antropologico e psicologico attuale ritiene che le storie fossero – e sono – usate per insegnare lezioni importanti, morali e pratiche. E che, così facendo, hanno procurato un vantaggio evolutivo.

Un esempio di storytelling da Daddy Ug

Immaginate i nostri bambini delle caverne, pronti a uscire per andare a giocare nella foresta. “Prima che andiate a giocare”, dice Daddy Ug, “devo dirvi una cosa importantissima. Le bacche rosse sull’alto albero presso il lago possono causare gravi disagi gastro-intestinali e persino uccidervi.”

Ecco ciò che sentono i bambini: “Bla bla bla bla giocare, bla bla bla bla”.

È troppo tardi per trasmettere loro informazioni, poiché stanno già pensando a giocare con gli amici.

Ora ripetiamo la scena, ma con Daddy Ug che utilizza un metodo diverso per inculcare la lezione. “Prima che andiate a giocare”, dice, “voglio solo dirvi cosa è successo al piccolo Og la scorsa settimana”. I bambini si fermano, pietrificati. “È andato fuori a giocare e dato che aveva fame ha raccolto alcune bacche rosse da quell’albero alto vicino al lago. E indovinate un po’? Ha gridato per il mal di pancia ed è caduto per terra morto. Vabbe’, divertitevi”.

Indovina chi non mangerà le bacche.

Le persone che ascoltavano storie tendevano a vivere più a lungo, così i loro geni sono passati alla generazione successiva. Raccontavano storie anche alla loro prole, aggiungendo slancio comportamentale al potere della narrazione. Si scopre che la narrazione funziona abbastanza bene anche per i copywriter. Ecco un esempio.

Storytelling per una brochure aziendale

Andly Maslen, autore del bestseller “Persuasive Copywrtiting”, racconta di essere stato incaricato, in passato, di scrivere una brochure aziendale per una grande società statunitense.

L’obiettivo era quello di allontanarsi dal solito stile iperbolico che caratterizza questo tipo di documento a favore di qualcosa a un livello più umano. Ecco quello che ha suggerito al loro direttore marketing.

“Perché non raccontiamo una serie di storielle?”, ha detto. “Puoi mostrare al lettore come rendersi la vita più facile attraverso esempi, piuttosto che elencando i benefici”.

“Non è che sarà una cosa un po’, come dire, eccentrica?”, ha chiesto la direttrice.

“Non se ci concentriamo sui problemi di business e su come i vostri prodotti li hanno risolti”.

E così hanno fatto. Le storie che Maslen ha scritto erano incentrate su una serie di giorni di lavoro tipici: di un responsabile del marketing, di un manager del reparto di corrispondenza, di un direttore finanziario e di un gestore delle risorse umane. Ecco un passaggio dalla brochure.

 

Non funziona: Nel 1972 abbiamo pubblicato la nostra prima relazione sui mercati dei consumatori del Regno Unito.

Funziona: Un responsabile del marketing arriva in ufficio alle 8,30. Entro le 10 ha ricevuto 45 e-mail sul BlackBerry, 11 pubblicità per corrispondenza, tre file PDF sul PC, due pacchetti contenenti campioni promozionali e la documentazione di base per una campagna pubblicitaria, 15 mail interne, quattro fatture e una bozza di contratto dall’agenzia di marketing diretto appena incaricata

 

Ciascuna aveva i quattro ingredienti fondamentali di una buona storia:

  1. Un protagonista, ovvero l’eroe. È la persona con cui vogliamo che il lettore si identifichi.
  2. Una situazione o un problema. È il problema che il mio cliente potrebbe risolvere.
  3. Un racconto – semplicemente quello che è successo.
  4. Uno scioglimento. Il finale della storia.

Per uno dei personaggi è stato tornare a casa in tempo per dare il bacio della buonanotte ai suoi figli.

La buona narrativa di solito presenta il personaggio principale alle prese con qualche cambiamento. Potremmo dire che in questo caso il cambiamento stava nel diventare un cliente del mio cliente.

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