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Ribaltare le 3P del pessimismo
Permanenza, Pervasività e Personalizzazione
Qui di seguito un prezioso contenuto estratto dal libro “Il Vantaggio dell’Intelligenza Emotiva”.
L’ottimismo viene spesso frainteso.
È diverso dalla tendenza a credere che le cose si risolveranno al meglio a prescindere da tutto: questo riflette piuttosto una debolezza nel test della realtà ed elimina il tuo ruolo nella situazione, un comportamento rischioso che ci rende ciechi ai veri ostacoli da affrontare e superare.
Non è nemmeno la capacità di concedersi discorsi di incoraggiamento perpetui e di continuare a ripetere cose positive su se stessi: anche questo può portare a un vicolo cieco.
L’ottimismo è, invece, la capacità di smettere di pensare o dire cose distruttive su se stessi e sul mondo circostante, specialmente quando si sta vivendo una difficoltà personale.
Il vero ottimismo è un approccio globale e fiducioso, ma realistico, alla vita di tutti i giorni.
Lo psicologo Martin Seligman ha scoperto 3 principali atteggiamenti che distinguono gli ottimisti dai pessimisti.
Innanzitutto, gli ottimisti vedono i momenti negativi della propria vita come punti lampeggianti sul radar: non dureranno per sempre, la situazione cambierà in meglio.
Evitano di sentirsi destinati a uno scenario di tristezza e disperazione, delusione e fallimento; fondamentalmente considerano i problemi e le difficoltà come successi posticipati, anziché come sconfitte totali e definitive.
In secondo luogo, tendono a vedere la sventura come legata a una specifica situazione, non come l’ennesima manifestazione di un destino da sempre avverso e inevitabile.
In questo modo anche un’esperienza veramente negativa può essere esaminata e affrontata singolarmente, senza sentirsi all’ultima spiaggia.
Inoltre, gli ottimisti non si addossano immediatamente tutta la colpa: se la loro analisi individua cause esterne le tengono in considerazione.
Questo è in contrasto con le 3 P del pessimismo: permanenza, pervasività e personalizzazione.
I pessimisti tendono a vivere ciascun ostacolo come l’ennesimo tra i fallimenti passati e (probabilmente) futuri che sono destinati a vivere.
Qualunque passo falso verrà visto come l’ennesimo esempio di come loro sbaglino tutto ogni volta.
Perché continuano ad accadere cose negative? Perché i pessimisti decidono che la colpa è della propria incompetenza o inefficacia.
L’ottimista ribalta queste tre P, mettendo in discussione sensi di colpa e sentimenti di incapacità inopportuni.
Prendiamo l’esempio di Andrea, che ha perso una buona occasione di lavoro dopo essere rimasto bloccato nel traffico e aver fatto tardi per un colloquio importante.
Se fosse un pessimista incallito, la sua reazione potrebbe essere:
«Figuriamoci. Non me ne va bene una (permanenza). Non mi stupisco di cosa sia successo, va sempre tutto storto (pervasività). Sono stato un idiota a partire così tardi e aver fatto questa strada (personalizzazione)».
Al contrario, se il punto di vista di Andrea fosse ottimistico potrebbe reagire così:
«Caspita che delusione. Ma ho un altro colloquio la prossima settimana (il risultato, anche se innegabilmente spiacevole, non è la fine del mondo). Che sfortuna. Ma mi è capitato altre volte di mancare degli appuntamenti, e non sono ancora alla fame (la situazione presente è un fatto a sé, non è la dimostrazione che le cose vadano “sempre” male, e non deve necessariamente ripetersi). Qualunque strada avessi scelto non avrebbe fatto differenza, c’è molto traffico in tutta la città (ha avuto un ruolo una forza esterna)».
Andrea avrebbe sbagliato a dare tutta la colpa dei suoi problemi al traffico intenso: se l’avesse fatto avrebbe cercato una scusa, avrebbe negato le sue responsabilità nello svolgimento delle cose.
Certo il traffico c’era, ma lui avrebbe potuto alzarsi all’alba per essere ancora più tranquillo. Forse lo farà la prossima volta.
Dare tutta la colpa ai fattori esterni è sbagliato tanto quanto darla tutta a se stessi.
L’approccio giusto sta nel mezzo tra i due estremi.
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