BlogCoaching → L’uso delle domande nel Coaching

L'uso delle domande nel Coaching

L’essenza prima del Coaching è il processo in cui il Coach porta il suo interlocutore a riflettere e lo ispira ad accedere al potenziale personale e professionale grazie all’uso mirato di domande.

Qui di seguito ti presentiamo un prezioso contenuto estrapolato dal libro “Coaching Indispensabile” in cui scoprirai:

L'uso mirato delle domande

È questo effettivamente il centro del Coaching: LA CAPACITÀ DI PORRE DOMANDE.

Le domande sono parte essenziale del bagaglio del Coach: anche se ci sono ovviamente molti altri aspetti nel Coaching, la maggior parte di ogni sessione sarà solitamente dedicata a porre domande e ascoltare con cura la risposta.

Viene spesso detto che:

abbiamo due orecchie ma una bocca sola e che dovremmo usare questi organi secondo la stessa proporzione.

Di certo è una buona regola per le conversazioni di tutti i giorni, come anche per il Coaching.
La maggior parte dei Coach efficaci ascolta molto e parla assai poco.
Il loro impegno è dedicare più tempo possibile al loro interlocutore, creando uno spazio in cui possa chiarire i propri pensieri.

Per poter rispondere alle tue domande l’altro deve accedere ai propri pensieri, organizzarli e articolarli.

Questo promuove maggiore COSCIENZA, il che è il primo passo verso la condizione in cui si hanno più opzioni e si possono attuare cambiamenti.
Rispondendo alle domande, spesso le persone scoprono pensieri, convinzioni, opinioni, valori e idee che non sapevano di avere.
A volte sono stupite, quando alla loro coscienza affiorano informazioni che erano rimaste precedentemente inconsce.

Tutti noi siamo capaci di convincerci di cose che non hanno alcun senso… e infatti lo facciamo.
È solo dopo aver sondato i fondali del nostro essere e aver portato alla luce quanto era nascosto che riusciamo a vedere chiaramente quanto irrazionali fossero certe nostre idee.

Le DOMANDE MIGLIORI portano il Coachee (il tuo referente, cliente, discente) più a fondo nella sua esperienza e RIVELANO ASPETTI che gli erano SCONOSCIUTI.
Una delle prime cose che devi fare quando lavori con un’altra persona su una questione è aiutarla a comprenderla meglio.

Talvolta basta solo questo perché la persona riesca a risolverla.
Sa cosa fare e come farlo, e il problema scompare.
La chiave per porre domande utili è la CURIOSITÀ.
Quando sei genuinamente interessato all’altra persona, vuoi capire al meglio cosa succede nella sua esperienza: allora è facile trovare tutta una serie di domande da porre.

La curiosità è un atteggiamento mentale fondamentale ed è prerogativa di un Coach davvero eccellente.
Quando sei curioso, ti interroghi sull’esperienza dell’altro.

Cosa c’è alla radice del suo comportamento e delle convinzioni che ti descrive? Tuttavia c’è sempre il rischio di lasciarsi travolgere da un’ondata di curiosità: devi quindi stemperarla e non rimanere troppo coinvolto nella storia della persona.

Non tutte le domande sono uguali

Ai giornalisti fin dal principio della loro carriera viene detto che ci sono cinque domande chiave che devono trattare in ogni reportage:

chi?
cosa?
perché?
dove?
quando?
le famose 5 W (who, what, why, where, when)

Le risposte a questi quesiti vengono spesso riassunte nel primo paragrafo di un articolo: “Il mese scorso Mario Bianchi è andato in bicicletta dalla Valle D’Aosta a Napoli per raccogliere fondi per un progetto di beneficenza“.

Data l’efficacia di queste cinque domande nell’arrivare al nocciolo della storia, potresti pensare di usarle anche nel Coaching.

Ma ce ne è una che dovresti evitare o almeno utilizzare con cautela:

la domanda “PERCHÉ”, dato che spesso può suonare come una critica.

Ad esempio “Perché hai lasciato tua moglie?” porterà probabilmente la persona a giustificarsi e a mettersi sulla difensiva.
Chiedere invece, nella medesima situazione, “Qual era la tua situazione quando hai lasciato tua moglie?” permette al cliente di spiegare la propria visione delle cose.

Dovresti usare con cautela anche la domanda “COME”, perché stimola il pensiero analitico della mente conscia e spesso la soluzione al problema si trova invece a livello inconscio.

Al posto di “Come intendi risolvere questo problema?” prova a chiedere “Cosa deve succedere perché questo problema si risolva?”.

Possono sembrare domande superficialmente uguali, ma il modo in cui la mente risponde all’una o all’altra è differente.

Domande aperte e domande chiuse

Dato che lo scopo del Coaching è quello di potenziare l’interlocutore seguendo la sua agenda, la cosa migliore è porre, se possibile, domande aperte, che permettano alla persona di muoversi nella direzione per lei importante.
Più la domanda è “chiusa” e specifica, più è il filo dei tuoi pensieri a essere sviluppato.
Un altro vantaggio delle domande aperte è che fanno emergere molte più informazioni e incoraggiano la persona a esplorare le problematiche.

Le domande chiuse invitano a rispondere per monosillabi, sì o no, e condizionano il pensiero in modo analogo. Questa è una delle ragioni per cui andrebbero evitate.

Un esempio di domanda chiusa: Il problema qui è la capacità di delegare?
Un esempio di domanda aperta: Qual è la problematica in questo caso?

Chiusa: Il prossimo passo è definire il tuo obiettivo?
Aperta: Qual è il prossimo passo?

Dato che una delle motivazioni chiave per porre domande è aumentare le cose di cui l’interlocutore è conscio, in modo che capisca meglio la situazione, può essere utile seguire direzioni di indagine che facciano chiarezza in tutto ciò che è nebuloso.

Le persone sono vaghe in ciò che dicono e ci possono essere lacune nella tua comprensione.
Se tu, in quanto Coach, non hai chiarezza sulla situazione, è possibile che questa manchi anche al cliente.

Saper porre domande capaci di giungere in profondità può aiutarvi a recuperare alcune informazioni mancanti.

Questo ti impedisce anche di fare supposizioni in merito a ciò che la persona sta dicendo e di prendere così direzioni sbagliate.
Chiedere maggiori dettagli e aspetti specifici evita questo problema e rivela logiche errate, convinzioni limitanti e pensieri disordinati.

Le domande che arrivano in profondità e stimolano chiarezza sono spesso le più efficaci: portano il tuo cliente a una comprensione più profonda delle sue problematiche, permettendogli di vedere le cose da nuovi punti di vista o di avere intuizioni che lo porteranno ad agire.

Ti accorgi quando una domanda è stata davvero efficace perché la persona spesso fa una pausa e ci potrebbe essere un momento di silenzio mentre elabora le informazioni.
Le domande semplici sono spesso più potenti delle domande complesse.
Sono più facili da elaborare mentalmente e raggiungono l’obiettivo con immediatezza.

Le domande più “sciocche” possono essere le più efficaci:

  • Cosa vuoi?
  • Cosa ti impedisce di fare questa cosa?
  • Cosa succederebbe se lo facessi?
  • E adesso?
  • Quando lo farai?
  • Qual è il vero problema qui?

Tuttavia, una domanda è potente solo se arriva al momento giusto: in un frangente diverso potrebbe non avere alcun impatto.

Una domanda alla volta

È importante non investire l’altro con una raffica di domande, perché può essere difficile tenerle tutte a mente contemporaneamente: il risultato è confusione o risposte superficiali.

Se fai incessantemente una domanda dopo l’altra, il tuo referente può avere l’impressione di subire un interrogatorio.

Per limitare questo effetto, prova a usare affermazioni che implicano una domanda, magari salendo di tono con la voce alla fine della frase, per indicare che attendi una risposta.

  • Questo deve averti sorpreso
  • Ti saranno venute in mente delle opzioni interessanti
  • Mi chiedo quale sia la situazione qui
  • Non mi sembri molto felice della cosa.

Ricevi una preziosa RISORSA ogni settimana