BlogCoaching → Cinque parole sulla lavagna

Cinque parole sulla lavagna

Il Coaching secondo il Coach di Steve Jobs

Qui di seguito un interessante brano tratto da “Il Coach da un Trilione di Dollari” di Eric Schmidt, Jonathan Rosenberg e Alan Eagle.

Come funziona il Coaching secondo il Coach di Steve Jobs?

I nostri incontri individuali con Bill Campbell si tenevano sempre presso il suo ufficio in California Avenue, il più tranquillo quartiere commerciale di Palo Alto a circa un miglio dalla più vivace University Avenue. Inizialmente ci sembrava una perdita di tempo: perché non poteva venire in Google? Poi capimmo che era il luogo giusto; dopotutto, quando vai dallo psicologo sei tu che vai là.

Per recarsi in pellegrinaggio da Bill si passava da una porta senza insegne, si salivano le scale fino al secondo piano, si percorreva un corridoio, si abbracciava la sua storica assistente, Debbie Brookfield, poi si entrava nella sala conferenze ad aspettarlo.

Per gli incontri con Eric (Schmidt – ex Ceo di Google) c’erano sempre cinque parole scritte sulla lavagna, che indicavano gli argomenti da discutere quel giorno. Le parole potevano riguardare una persona, un prodotto, una questione operativa o una riunione imminente. È così che organizzavano la loro conversazione.

Durante la stesura di questo libro, quando Eric parlò dei suoi incontri con Bill, Jonathan (Rosenberg, co-autore di “Il Coach da un trilione di dollari”, insieme a Eric Schmidt e Alan Eagle) dovette intervenire: non è così che Bill iniziava i suoi incontri individuali, gli ricordò.

Bill aveva effettivamente cinque punti principali di cui discutere, ma non li scriveva sulla lavagna dove tutti potevano vederli, bensì li teneva per sé come un giocatore di poker che nasconde le proprie carte tenendosele vicine.
Dopo aver parlato di famiglia e altre cose non lavorative, Bill chiedeva a Jonathan quali fossero i suoi cinque argomenti principali.
Jonathan si era reso conto che, così facendo, Bill voleva vedere in che modo lui stabilisse le priorità per il proprio tempo e impegno.
Se Bill avesse esordito con il suo elenco, Jonathan avrebbe potuto semplicemente prenderlo così com’era; il fatto di discuterne, invece, era esso stesso una forma di Coaching (di cui a quanto pare Eric non aveva bisogno).

Nel suo seminario sul management in Google, Bill sosteneva che ognuno dovesse mettere il proprio elenco sul tavolo rivelandolo in contemporanea: in tal modo ciascuno poteva vedere i punti in comune e aveva modo di parlarne.

Lui riteneva che il fatto di unire i due programmi potesse insegnare a stabilire delle priorità.

Indipendentemente da chi sceglie i cinque punti principali da mettere sulla lavagna, la cosa importante è che ciascuno abbia una serie di argomenti da trattare e sia pronto a farlo.

Bill preparava gli incontri individuali con grande cura.

Ricordate: secondo lui la cosa più importante per un manager è aiutare le persone a migliorare il proprio rendimento e a crescere, e l’incontro individuale è la migliore opportunità per riuscirci.

Una volta divenuto Coach a tempo pieno variò il proprio approccio adattandolo alla persona che aveva di fronte; ma come CEO sviluppò un format standard, quello che insegnava sempre agli altri.

Iniziava sempre dalle chiacchiere, che nel caso di Bill non erano poi così superficiali.

Spesso nell’ambiente di lavoro le chiacchiere sono sbrigative: un veloce «Come stanno i bambini?» o due parole sul tragitto mattutino prima di passare agli argomenti lavorativi.

Le conversazioni con Bill erano più profonde e stratificate; a volte si aveva l’impressione che l’incontro fosse più incentrato sulla vita che sulle questioni professionali.

Infatti, se da un lato il suo interesse per la vita delle persone era sincero, dall’altro lato esso portava anche un grosso vantaggio: uno studio del 2010 conclude che questo tipo di conversazioni “reali”, a differenza delle chiacchiere superficiali, rendono le persone più felici.

Dalle chiacchiere (non superficiali) Bill passava alla PERFORMANCE:
Su cosa stai lavorando?
Come sta andando?
Come poteva essere utile?

Poi si parlava sempre dei RAPPORTI con i COLLEGHI di pari grado, che Bill considerava più importanti di quelli con il manager e i superiori.

Un giorno Jonathan trascorse parte dell’incontro individuale con Bill parlando del fatto che non riceveva alcun feedback sul proprio lavoro dai fondatori, e si chiedeva cosa volessero. Bill gli rispose di non preoccuparsi del feedback proveniente dall’alto, e di fare invece attenzione all’input da parte dei suoi colleghi.

Cosa pensano di te i membri del tuo team?
Quella è la cosa importante!

Continuarono a parlare dei pari di Jonathan, del fatto che generalmente apprezzassero il suo lavoro e di come potesse migliorare.
Dai rapporti con i colleghi, Bill passava ai TEAM: voleva sempre sapere se avevamo definito chiaramente un obiettivo per loro e lo consolidavamo costantemente.

Capivamo cosa stavano facendo? Se sbagliavano qualcosa, parlavamo di come correggerli e riportarli sulla strada giusta.
«Pensa che tutti quelli che lavorano per te sono come tuoi figli», disse Bill una volta. «Aiutali a correggersi lungo il percorso e migliorali».

Poi voleva parlare di INNOVAZIONE.

La includevamo nei nostri team?
In che modo bilanciavamo la tensione intrinseca tra innovazione e attuazione?

Ciascuna delle due cose presa da sola non bastava; era fondamentale raggiungere quell’equilibrio.

Ricevi una preziosa RISORSA ogni settimana